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Capitale intangibile: ecco perché gli incentivi sono importanti
Le principali leve dell’innovazione sono quattro, la prima leva muove gli investimenti in impianti, macchinari, attrezzature e hardware (capitale tangibile), le restanti tre leve attivano invece gli investimenti nel capitale intangibile (R&S, software e banche dati, formazione del personale per l’innovazione).
L’analisi del recente Rapporto Innovazione Italia 2021 di Assoconsult ci dice che il sistema produttivo italiano si caratterizza per un’elevata propensione ad investire in innovazione, posizionandosi, tra le principali economie europee. In Italia gli investimenti innovativi fissi lordi totali del settore privato in rapporto al valore aggiunto sono pari al 10,4%, contro il 9,6% della Germania (i dati sono riferiti al 2019).
In Italia il sistema produttivo investe sul proprio futuro, dal rapporto emerge infatti che il 53% delle imprese italiane sono innovatrici, ossia utilizza almeno una leva dell’innovazione, con una propensione molto elevata verso gli investimenti tangibili (macchinari, attrezzature, hardware). Di contro vi è un ricorso più limitato alle diverse tipologie di asset intangibili.
Il nostro investimento tangibile in macchinari, attrezzature e hardware risulta superiore anche a quello tedesco. Si parla di un 6,7% del valore aggiunto, contro il 5,3% della Germania, il 4,5% della Francia e il 2,7% del Regno Unito.
Viceversa, risulta essere ancora limitata, seppure tendenzialmente in crescita, la propensione verso investimenti intangibili. Nel dettaglio, l’investimento in R&S è stato dell’1,9% in Italia (stabile negli ultimi quattro anni) contro il 2,9% della Francia, il 3,3% della Germania e l’1,5% del Regno Unito. Quello in software e banche dati è stato pari all’1,9% in Italia, contro il 4,5% della Francia, il 2,2% del Regno Unito e lo 0,9% della Germania.
L’analisi dei dati del rapporto mostra anche che la propensione all’innovazione nel nostro paese:
- cresce all’aumentare della dimensione dell’impresa;
- risulta più bassa nei settori tradizionali del Made in Italy rispetto a settori quali: chimica, ICT, meccanica, elettronica, finanza ed energia;
- risulta maggiore al nord (57%) e minore al centro (49%), al sud (45%) e nelle isole (41%);
- riguarda prevalentemente il processo;
- favorisce la transizione digitale, perché un’impresa innovatrice su quattro ha investito in tecnologie digitali avanzate (c.d. tecnologie 4.0);
- ha favorito il recupero del fatturato post-lockwdown;
- mostra maggiori ritorni in presenza di strategie d’innovazione complesse, ossia di investimenti innovativi non solo materiali (macchine, impianti, ecc.).
In estrema sintesi, il rapporto mostra che non basta innovare, quello che conta è come si innova.
L’analisi dei dati indica che il maggiore ritorno degli investimenti innovativi si ottiene affiancando al capitale tangibile, su cui ad oggi si concentrano i maggiori sforzi delle imprese italiane, l’investimento in capitale intangibile.
In sostanza, gli investimenti in R&S, software e formazione per lo sviluppo delle competenze delle risorse umane sono essenziali perché consentono l’introduzione di tecnologie digitali in grado di aumentare la produttività e il valore creato dall’impresa.
Tra le tecnologie digitali quelle avanzate (c.d. tecnologie 4.0) sono quelle che possono incrementare in maggior misura la produttività, esse possono essere ricomprese nei seguenti quattro ambiti:
il primo riguarda l’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività, e si declina in tecnologie abilitanti quali: big data, open data, IoT, cybersecurity e cloud computing.
Il secondo è quello che raccoglie i c.d. analytics, ossia i processi finalizzati ad estrarre valore dalle informazioni quali, ad esempio, il “machine learning” e le altre modalità “attive” di trattamento dei dati.
Il terzo è l’interazione tra uomo e macchina, che coinvolge le interfacce “touch” e la realtà “aumentata”.
Infine, il macro-ambito che interessa il passaggio dal digitale al “reale”, che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine, i sistemi di simulazione e numerose altre tecnologie incluse quelle finalizzate a immagazzinare e utilizzare l’energia.
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Tutte le tecnologie digitali dipendono dall’utilizzo di software, inoltre occorrono persone dotate di competenze idonee al loro impiego (soprattutto per quelle avanzate), infine, servono attività di R&S per far avanzare tali tecnologie e per individuare nuovi ambiti applicativi.
Una scarsa propensione agli investimenti in asset intangibili limita dunque gli effetti positivi derivanti dalle tecnologie digitali avanzate, pertanto, la capacità di ricavare valore dagli investimenti innovativi risulterà inferiore.
Lo scenario nazionale delineato dal Rapporto Innovazione Italia 2021 di Assoconsult indirettamente conferma dunque la necessità di insistere e, possibilmente, rafforzare le misure di sostegno verso gli investimenti in R&S, software e formazione, per favorire la penetrazione delle tecnologie digitali (soprattutto quelle avanzate) nelle PMI italiane.
Nello specifico, gli incentivi fiscali automatici sembrano lo strumento più idoneo per orientare le tante imprese di dimensioni minori verso strategie d’innovazione più complesse, ossia basate sulla combinazione di investimenti in asset tangibili ed intangibili.
In tale prospettiva, la scelta di diminuire progressivamente l’aliquota del credito d’imposta per investimenti in R&S e innovazione digitale 4.0 a partire già dal 2023 appare poco lungimirante, così come sembra un passo falso la decisione di interrompere il bonus formazione 4.0 a partire dallo stesso anno.
Per le medesime ragioni anche la riduzione dell’aliquota del credito d’imposta per investimenti in software 4.0 a partire dal 2024 potrebbe rivelarsi troppo anticipata.
Al riguardo, degno di nota è il rafforzamento dei crediti di imposta del Piano Transizione 4.0 operato dal Decreto legge recante “Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi Ucraina” approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 maggio. In particolare, per gli investimenti in beni immateriali 4.0 effettuati nel 2022 (ovvero entro il 30 giugno 2023, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2022 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione), l’aliquota del credito d’imposta è elevata dal 20 al 50%. Inoltre, per il bonus formazione 4.0, le aliquote del credito d’imposta per le spese di formazione del personale dipendente, finalizzate all’acquisizione o al consolidamento delle competenze tecnologiche, sono aumentate, a talune condizioni, dal 50 al 70% (per le piccole imprese) e dal 40 al 50% (per le medie imprese). L’auspicio è che si tratti di un primo passo in vista di una prossima proroga del bonus formazione 4.0 per gli anni successivi al 2022.
Nella giusta direzione sembra andare poi la decisione di rafforzare l’incentivo fiscale sui costi di R&S sostenuti per gli asset immateriali tutelabili utilizzati nell’attività d’impresa.
In effetti, dai dati diffusi dal dipartimento delle Finanze con riferimento alle dichiarazioni dei redditi delle società di capitali nel periodo d’imposta 2019, appare chiaro che il vecchio regime di Patent Box premiasse un numero troppo limitato di imprese (2.509 società di capitali), peraltro agevolando i redditi derivanti dall’utilizzo degli asset immateriali, anziché sostenere gli investimenti in capitale intangibile.
In tal senso, il nuovo regime di Patent Box introdotto a partire dal 2021 appare più adatto al fine di orientare tante PMI verso strategie d’innovazione più complesse.
Nell’ottica di favorire la diffusione di processi d’innovazione basati sull’utilizzo combinato di più leve anche da parte delle imprese di taglia più piccola, va salutata con favore la crescita delle domande italiane presentate nel 2021 all’Ufficio brevetti europeo.
Le domande nel 2021 sono state 4.919, nonostante la pandemia la crescita è stata del 6,5% rispetto al 2020, confermandosi ben al di sopra della crescita media del 2,7% registrata nei Paesi UE.
La comunicazione digitale e la tecnologia informatica hanno registrato la crescita più forte, seguite da farmaceutico e biotecnologico.
La forte crescita delle domande nell’ambito delle tecnologie digitali mostra come la trasformazione digitale sia in atto in tutti i settori, ecco perché disporre di un set misure fiscali stabili e potenti propedeutico alla diffusione di queste tecnologie (soprattutto nelle PMI) appare essenziale in una prospettiva di medio termine.
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