Agroalimentare, un Made in Italy di serie B?

22 Giugno 2021

Il Rapporto 2021 «La roadmap del futuro per il Food&Beverage» di The European House-Ambrosetti evidenzia che, nell’ultimo anno, le imprese agroalimentari hanno realizzato 208 miliardi di euro di fatturato, un valore record di 46,1 miliardi di euro di esportazioni, grazie al lavoro di oltre 1,4 milioni di occupati coinvolti in 1,2 milioni di imprese.

La quota del settore agroalimentare incide sul Pil in misura pari al 3,8%, la seconda più alta in Europa.


Secondo gli autori dello studio, i principali indicatori confermano come il settore agroalimentare abbia avuto un ruolo decisivo nel trainare l’economia del Paese, contenendo le perdite economiche che sono state invece molto ingenti per la maggior parte degli altri comparti e nel mantenere alta la competitività dell’Italia sui mercati internazionali.

Nonostante le performance positive, il settore presenta alcune significative criticità che, se adeguatamente affrontate, potrebbero trasformarsi in importanti potenzialità ancora inespresse.

Ad esempio, esportiamo meno in termini assoluti in confronto ai principali competitor europei, su questo fronte c’è ancora molto da fare per raggiungere le performance di Germania e Francia.

Un altro fattore di debolezza è costituito dal tessuto produttivo estremamente frammentato (le piccole imprese pesano per l’89,5% del totale) e questa situazione determina conseguenze negative sulla propensione agli investimenti, sulle performance di redditività e autonomia finanziaria.

La tendenza a investire delle grandi imprese nel settore è 2,8 volte superiore rispetto a quelle di dimensioni minori, pertanto favorire le aggregazioni e l’integrazione di filiera dovrebbe rafforzare la crescita del nostro sistema agroalimentare.

Un altro elemento di criticità è costituito dal calo dei consumi alimentari delle famiglie italiane rispetto al 2019, principalmente a causa della performance molto negativa dei consumi fuori casa.

I consumi incidono per il 60% del Pil, in particolare, i consumi in beni alimentari costituiscono il 23,5% dei consumi totali delle famiglie italiane nel 2020.

Senza far ripartire i consumi, anche quelli alimentari, sarà difficile poter rilanciare l’economia.


Nella prospettiva sopra delineata l’agroalimentare ha davanti a sé alcune importanti sfide da affrontare nei prossimi mesi, dal sondaggio condotto da The European House-Ambrosetti per individuare le priorità per il rilancio del comparto sono emerse le seguenti proposte:

  • favorire la sburocratizzazione come premessa per sbloccare gli investimenti e le opportunità nel settore;
  • rafforzare la dimensione media delle aziende del settore alimentare per incrementare la competitività a livello internazionale;
  • sostenere la crescita del Made in Italy attraverso la valorizzazione delle filiere nazionali e locali;
  • combattere il fenomeno dell’«italian sounding» e promuovere le esportazioni delle eccellenze nazionali;
  • adottare misure per il rilancio dei consumi alimentari fuori casa;
  • costruire campagne di sensibilizzazione per i cittadini per promuovere stili di vita corretti grazie a una sana alimentazione e allo sport.

Alla luce delle sfide che attendono il settore agroalimentare sarebbe auspicabile poter disporre pienamente delle risorse necessarie per trainare la ripresa del Paese, anche grazie all’occasione storica di poter beneficiare dei fondi europei e nazionali messi a disposizione dal PNRR ed in particolare dal Piano Transizione 4.0.

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Sfortunatamente il Mi.S.E. ha recentemente assunto delle posizioni che sembrano in parte limitare l’accesso alle risorse del Piano Transizione 4.0 da parte delle imprese del settore.

Ad esempio, il parere tecnico fornito dal Mi.S.E. per la Risposta 188/2021 di Agenzia delle Entrate esclude dal perimetro agevolativo del credito d’imposta ricerca, sviluppo e innovazione tutti i lavori finalizzati alla formulazione di nuove ricette di prodotti alimentari il cui unico risultato si sostanzi nella realizzazione di un gusto o sapore.

Sul punto occorre ricordare che nel previgente contesto normativo (2015-2019) il Mi.S.E. aveva già derogato alla rigida applicazione dei criteri del Manuale di Frascati per agevolare gli “effetti estetici” sui prodotti di tutti i settori “creativi” (ad esempio: tessile, abbigliamento, calzature, occhiali, gioielleria, ceramica), al fine di supportare il Made in Italy.

Sarebbe pertanto utile capire quali sono i criteri adottati dal Mi.S.E. per supportare il Made in Italy, in quanto, da un lato agevola le attività di ideazione estetica per la realizzazione di una nuova collezione nel settore abbigliamento, calzature, ceramica, ecc.; dall’altro però esclude i lavori finalizzati alla formulazione di nuove ricette di prodotti alimentari il cui unico effetto è di tipo organolettico. Forse l’alimentare è un tipo di Made in Italy meno importante dell’abbigliamento o della ceramica? Oppure l’innovativa combinazione di tessuti, disegni, forme, colori o materiali di un capo d’abbigliamento rispecchia maggiormente i valori del Made in Italy rispetto al gusto o al sapore di un cibo italiano? Perché non dovremmo agevolare l’ideazione e la progettazione di un nuovo prodotto potenzialmente in grado di andare ad arricchire la serie di “prodotti mondiali” che il nostro Paese può vantare nel settore Food&Beverage?


Per un’impresa del settore alimentare, progettare nuove ricette per ottenere un nuovo effetto organolettico equivale, di fatto, alla progettazione di nuove forme e colori per ottenere un nuovo effetto estetico su un capo d’abbigliamento da parte di un’impresa del settore moda.

Probabilmente il tema andrebbe ulteriormente approfondito e rivisitato, soprattutto alla luce dell’incredibile patrimonio di conoscenze presenti nelle imprese del settore alimentare italiano, riconosciuto in tutto il mondo, specialmente con riguardo alla capacità delle nostre imprese di sviluppare processi produttivi innovativi in grado di riprodurre su scala industriale i gusti ed i sapori tipici della nostra tradizione gastronomica.

Un altro punto sul quale si attende un intervento del Mi.S.E. riguarda il parere rilasciato in data 17 novembre 2020 dalla DG dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale della Commissione Europea sul cumulo delle misure/sottomisure di sostegno agli investimenti del Programma di Sviluppo Rurale 2014/2020 della Regione Sicilia con i crediti d'imposta 4.0.

Come sappiamo la DG ritiene che il sostegno del PSR, per le stesse spese ammissibili, possa essere concesso in combinazione con i crediti d'imposta 4.0, ma il sostegno cumulato deve rimanere entro i limiti fissati dall'allegato II del Regolamento (UE) n. 1305/2013 ed un numero crescente di regioni sta mutando il proprio orientamento per recepire le più recenti e limitanti indicazioni comunitarie.

Ad oggi non siamo a conoscenza  degli sviluppi delle interlocuzioni che, alcuni mesi fa, il Mi.S.E. ha fatto presente di aver avviato al riguardo. Al fine di evitare riflessi molto negativi sugli investimenti tecnologici di un settore strategico per la nostra economia, sarebbe auspicabile adottare tempestivamente adeguate iniziative per contrastare l’opinione espressa dai servizi della Commissione.


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