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Credito d’imposta R&S: Corti di Giustizia sempre più dalla parte del contribuente
L’annosa questione del credito d’imposta ricerca e sviluppo vede sempre più aziende del panorama imprenditoriale italiano impegnate in lunghi e complicati accertamenti con l’Agenzia delle Entrate.
Questa situazione di perdurante incertezza ha generato più di qualche preoccupazione proprio a quegli imprenditori che in buona fede hanno, legittimamente, beneficiato di tale misura agevolativa, si ricorda, messa a disposizione delle imprese italiane con l’obiettivo dichiarato di aumentare la competitività delle imprese nazionali, sostenendole ed incentivando la loro attività per investimenti di ricerca e sviluppo nell’ambito dell’innovazione tecnologica.
La campagna di accertamenti in materia di R&S portata avanti negli ultimi anni, ha condotto gli Uffici in buona parte dei casi al disconoscimento, quantomeno parziale, se non totale, dei crediti d’imposta oggetto di accertamento, sulla base di valutazioni carenti sotto il profilo tecnico e/o su un concetto di novità diverso e più stringente rispetto a quello della normativa originaria.
Far valere le proprie ragioni
Numerose però sono le imprese italiane che decidono di non soggiacere ad una simile situazione di incertezza normativa ed interpretativa e preferiscono far valere le proprie ragioni dinnanzi alle Corti di Giustizia Tributaria, forti anche e soprattutto del fatto che nelle aule delle ex commissioni tributarie si va sempre più consolidando un orientamento prettamente favorevole al contribuente.
Difatti, inizia ad essere copiosa la giurisprudenza di merito in materia che ha ormai consolidato un orientamento critico nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria - segnatamente per i periodi d’imposta 2015-2019 - laddove questa esprima autonome valutazioni tecniche ai fini della verifica dell’ammissibilità del credito d’imposta per progetti di “R&S”.
Si ricorda la C.T.P. di Aosta n. 46/2021, degna di nota per essere tra le prime commissioni ad aver affermato la necessità da parte dell’agenzia delle entrate di richiedere un parere tecnico al MISE. Numerose sono poi le sentenze che si sono susseguite sul tema e che hanno confermato tale necessità.
I giudici di prime cure di Rimini, con la recente sentenza n. 278/2023 ribadiscono con estrema chiarezza il principio secondo cui per arrivare ad un disconoscimento, l’agenzia deve motivare da un punto di vista tecnico.
Il ragionamento seguito dalla commissione è il seguente:
L’Agenzia delle Entrate ha indubbiamente il potere di verificare la corretta fruizione del credito d’imposta R&S nonché di verificarne i presupposti e la sussistenza delle condizioni di accesso al beneficio. Se, però, in seno a tali verifiche, si rendano necessarie delle valutazioni di carattere tecnico, in ordine all’ammissibilità di specifiche attività ovvero alla pertinenza e congruità dei costi, l’Agenzia stessa può richiedere al Mise (oggi MiMiT) di esprimere il proprio parere.
Risulta evidente come valutazioni di carattere tecnico, soprattutto se volte a valutare il grado di innovazione dei progetti agevolabili, presuppongono il possesso di una serie di competenze specifiche che non attengono all’Agenzia delle Entrate. Per tale motivo, la norma prevede l’attivazione dell’organismo tecnico, l’ex Mise appunto, come consulente ritenuto dal legislatore in grado di fornire pareri su materie che esulano dalle ordinarie competenze di Agenzia.
Considerazione che diventano ancor più rilevanti a fronte di perizie tecniche asseverate o altri tipi di documentazione altamente tecnica fornite dal contribuente.
È dunque evidente come, pur essendo una facoltà e non un obbligo, la richiesta di parere al Mise, diventa necessaria a fronte della valutazione di problematiche di grande complessità (C.T.G. I grado Roma n.5918/2022). Infatti, la previa richiesta del parere assume un rilievo sostanziale, soprattutto nei casi in cui il contribuente fornisca elementi tecnici specifici (perizie, brevetti degli organi competenti, convenzioni di ricerca ad esempio con Università, o qualunque altro tipo di documento a carattere prettamente scientifico).
Non può essere sufficiente una generica ed autonoma valutazione da parte degli Uffici svolta solo sul piano concettuale, in ordine a tematiche caratterizzate da un elevato livello di tecnicismo.
Altra censura mossa dai giudici all’Amministrazione Finanziaria, riguarda il costante riferimento al “Manuale di Frascati” per negare il valore tecnico dei progetti.
La maggior parte delle contestazioni che conducono al disconoscimento delle attività ammissibili al credito d’imposta, si basa sul parametro di riferimento adottato da Agenzia: i crediti sono accordati a condizione che le attività progettuali di ricerca e sviluppo presentino primariamente caratteristiche di innovatività, creatività, sistematicità e trasferibilità, nonché l’ammissibilità e l’effettività dei consti sostenuti, tutti criteri elencati nel Manuale di Frascati nell’edizione del 2015.
È importante ribadire quanto si legge nella recentissima sentenza della C.T.G. I grado di Macerata (n. 270/2023) “la spettanza o meno delle agevolazioni, in applicazione del principio tempus regit actum, deve essere valutata applicando l’art 3 del D.L. 145/2013 vigente all’epoca dell’utilizzo del credito d’imposta da parte della ricorrente”. I giudici di prime cure continuano specificando che la normativa dell’epoca non prevedesse alcun riferimento specifico ai criteri individuati nel Manuale di Frascati, viceversa applicabile, per espressa previsione normativa, solo a partire dall’anno d’imposta 2020. Difatti il Manuale di Frascati a cui l’Ufficio fa rifermento non è mai richiamato da alcuna disposizione di legge vigente per il periodo d’imposta 2015- 2019, ma è normativamente previsto solo dal comma 200 dell’art 1 della legge 130 del 27.12.2019, vigente dall’anno 2020, che disciplina il nuovo credito d’imposta.
Conferme in tal senso si rinvengono anche in secondo grado. La C.T.G. II della Valle d’Aosta n. 5/1/23, nel confermare la sentenza dei giudici di primo grado, ribadisce l’inapplicabilità retroattiva del Manuale di Frascati, e richiama un’altra precedente sentenza di secondo grado (C.T.G. II grado Emilia Romagna n. 307/4/21), nella quale si legge che “il concetto di ricerca e innovazione non può essere ingessato” e che la portata innovativa del progetto debba essere riferita alla singola realtà aziendale, nel pieno rispetto della norma sul credito d’imposta per ricerca e sviluppo, vigente ratione temporis.
Molto significativa anche la sentenza di secondo grado della C.G.T. II Marche 21.9.2023 n. 738/1/23 che dopo aver ben rappresentato l’evoluzione normativa e di prassi intervenuta, chiarisce che: “Al riguardo un contributo tecnico alla materia così complessa e difficile è stato fornito dal cosiddetto "Manuale di Frascati OCSE 2015" documento non richiamato da alcuna disposizione di legge vigente nel 2015-2016 ma che ha trovato una postuma consacrazione legislativa solo con vigenza dal 2021 attraverso il comma 200 dell'articolo 1 della legge n. 160 del 27.12.2019 (modificato dalla L. 178 del 30.12.2020 Art. 1)”. (enfasi aggiunta).
A fronte di un simil consolidato orientamento che si basa sul principio del tempus regit actum, anche qualora taluni giudici, vedi quelli di Napoli (C.T.G. II grado n.6857/2023), (l’Ufficio aveva recuperato il suddetto credito perché carente dei presupposti richiesti dal c.d. “Manuale di Frascati”) giungessero a riconoscere l’applicabilità del Manuale di Frascati, gli stessi ribadiscono la necessità che “la compatibilità alle linee guida di Frascati deve essere valutata in modo concreto e non astratto” sottolineando l’imprescindibilità di “un’analisi dettagliata che miri a valutare sia sotto il profilo giuridico che tecnico, se le attività condotte in seno ad una specifica progettualità avviata dall’impresa possano assumere rilevanza per l’OSCE ai sensi del Manuale di Frascati”.
In altre parole, le valutazioni dell’Ufficio devono essere sempre basate su dati tecnici oggettivi e non “su affermazioni generiche”; l’Ufficio deve essere in grado di fornire “prova specifica utile a dimostrare la reale carenza dei requisiti previsti da cosiddetto Manuale di Frascati”, a fronte di una documentazione tecnica depositata dal Contribuente, nella quale vengono messi in evidenza i progetti, nonché la circostanza che essi possiedano i requisiti per rientrare nell’ambito dell’attività di ricerca e sviluppo agevolata.
Nel caso di specie, infatti, il ricorso in appello dell’Amministrazione Finanziaria è stato rigettato in quanto i giudici di seconde cure hanno ritenuto che le argomentazioni sulle quali l’Ufficio ha fondato il proprio disconoscimento, non fossero basate su valutazioni tecniche precise e circostanziate, viceversa, i risultati raggiunti e le procedure innovative sviluppate dal contribuente (un’impresa operante nel settore alimentare), sono state attestate da una società specializzata nelle attività di ricerca e sviluppo (Warrant Innovation Lab).
Una simile impostazione si pone in perfetta sintonia anche con i principi contenuti nella recentissima riforma dei principi dello Statuto dei diritti del Contribuente.
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