Per i beni strumentali un 2023 tra luci e ombre: ecco perché serve chiarezza sugli incentivi

di Franco Canna

21 Luglio 2023

Contenuto: GUEST POST

Il comparto dei costruttori italiani di beni strumentali, che con le sue 5.000 imprese e 208.000 addetti è un settore strategico per l'economia italiana e un importante motore di crescita, occupazione e competitività, si lascia alle spalle un 2022 da record con un fatturato complessivo di oltre 55 miliardi di euro – un dato che rappresenta il 2,9% del PIL italiano.

Grazie alla sua forte propensione all’export, questo settore rappresenta inoltre una delle voci più importanti tra quelle che contribuiscono alla bilancia commerciale del Paese (al netto dei prodotti energetici) con un saldo attivo di 23,6 miliardi di euro.



Il boom della domanda nazionale

A contribuire alla crescita del settore però, oltre all’export (+8,4%), è stata in particolare la domanda nazionale, cioè gli acquisti di macchinari da parte delle imprese manifatturiere italiane, che ha fatto registrare un aumento del 18,1%.

Tanto per avere un riferimento, basta fare un confronto con il 2018, da tutti considerato l’anno d’oro della manifattura italiana. Ebbene, in quell’anno il fatturato del comparto è stato di circa 50 miliardi, le esportazioni valevano 33,5 miliardi, le vendite sul mercato domestico 16,5 miliardi e il consumo nazionale, dato dalla somma delle consegne dei costruttori italiani sul mercato interno e delle importazioni, 26,7 miliardi di euro. Nel 2022 gli stessi indicatori si presentano così: fatturato 55,4 miliardi, esportazioni 35,6 miliardi, vendite sul mercato domestico 19,8 miliardi e consumo nazionale 31,7 miliardi.

Lo sviluppo della domanda nazionale appare ancora più chiaro guardando il rapporto tra export e fatturato. Complessivamente il comparto dei costruttori italiani di beni strumentali esportava nel 2013 quasi i tre quarti della produzione (73,5%), mentre nel 2022 questo valore si è ridotto al 64,3%, cioè meno di due terzi.

In alcuni settori questo trend è stato ancora più marcato. È il caso, per esempio, dei costruttori di macchine utensili, che hanno venduto all’estero il 55,6% della produzione nel 2017 e il 47,6% nel 2022. Nel caso dei produttori di macchine per il packaging, nel periodo 2018-2022 l’export è cresciuto a un tasso medio dell’1,4%, mentre il mercato nazionale del 4,2% l’anno.



Gli incentivi per gli acquisti di macchinari hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della domanda nazionale di macchinari avanzati: dal superammortamento, introdotto nel 2016, all'iperammortamento, introdotto l’anno seguente, fino ai crediti d'imposta del piano Transizione 4.0 arrivati nel 2020 e che, nel biennio 2021-2022, hanno offerto delle aliquote senza precedenti. Queste misure hanno incentivato le imprese italiane ad aggiornare il parco macchine, investendo in macchinari più efficienti e interconnessi.


Le prospettive per il 2023

Inquadrati i consuntivi del comparto, diamo ora un’occhiata a quello che sta succedendo nel 2023. Limitandosi a considerare le vendite le cose stanno andando molto bene e gli indicatori sul fatturato lasciano prevedere un anno persino migliore del 2022 dei record: il gruppo statistiche di Federmacchine stima che il fatturato cresca ancora del 4,1% rispetto al 2022, l’export del 3%, e il consumo nazionale del 5,6%. La crescita prosegue, insomma, a un ritmo certamente inferiore rispetto a quello dello scorso anno, ma si tratta comunque di una conferma rispetto a un anno – il 2022 – assolutamente eccezionale.


Guardando ai due comparti principali, quello dei costruttori di macchine per il packaging si attende una sostanziale stabilità o una lieve crescita, mentre i costruttori di macchine utensili prevedono una crescita del 6,5%.


Il fatturato del settore, però, non dice tutto sullo stato di salute del settore. I produttori di macchinari, infatti, stanno lavorando a pieno ritmo per soddisfare gli ordini raccolti lo scorso anno.


Prendendo come esempio i costruttori di macchine utensili, la capacità produttiva è all’86,6%, che è un valore altissimo. Se però prendiamo in esame i nuovi ordini le cose cambiano radicalmente. Nel primo trimestre gli ordini hanno fatto registrare un calo del 23,7%, con la domanda nazionale in calo addirittura del 24,1%. E anche nel secondo trimestre il trend è stato molto simile.

Ulteriori segnali arrivano da ANIMA – Confindustria Meccanica Varia. Secondo un recente sondaggio condotto tra le aziende associate, nonostante il lento calo dell’inflazione per il secondo semestre del 2023 il 70% delle imprese prevede un fatturato con valori simili o in calo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Anche i fornitori di tecnologie di automazione, rappresentati da ANIE Automazione, hanno ridotto recentemente le previsioni per il 2023 da una crescita del 15% prevista ad aprile a una del 5% prevista a luglio.

Guardando la situazione nel suo insieme, il motivo di questa contrazione, almeno sul mercato domestico, può essere facilmente intuito: chi ha potuto, ha anticipato gli ordini a fine 2022 per godere delle maggiori aliquote previste dal piano Transizione 4.0 per gli ordini effettuati entro il 31/12/2022; e chi non ha potuto anticipare, sta aspettando di vedere se il Governo terrà fede alla promessa di rialzare le aliquote anche per il 2023.


L’incertezza sul piano Transizione 5.0

Come è noto, il Governo è al lavoro su un corposo aggiornamento del piano Transizione 4.0.

L’arrivo del nuovo piano era stato inizialmente previsto per la prima parte del 2023, quando si pensava a un possibile avanzo di risorse stanziate dal PNRR per il biennio 2021-2022 del Piano Transizione 4.0.

Verificato invece il pieno utilizzo di quei fondi, il Governo ha avviato un’analisi su possibili fonti di finanziamento alternativo, che sarebbero state identificate nel programma europeo RePowerEU (quello nato in risposta alla crisi energetica seguita all’inizio della guerra in Ucraina) e nella diversa assegnazione di alcune risorse del PNRR.


Il varo del nuovo piano di incentivi, che dovrebbe chiamarsi Transizione 5.0 perché andrà ad unire agevolazioni a supporto della transizione digitale a incentivi per la transizione green, è così rimandato all’autunno nell’ambito della prossima legge di bilancio o, più probabilmente, in un provvedimento ad hoc.


Se sull’obiettivo di rafforzare l’attuale piano prevedendo inoltre delle premialità per la componente green sono tutti d’accordo, dal Governo a Confindustria, non c’è invece ancora accordo su alcuni meccanismi del nuovo piano. Intanto bisognerà vedere se, con le risorse disponibili, si riusciranno effettivamente ad aumentare le attuali aliquote per gli investimenti 4.0; quanto invece alla componente green, occorrerà capire se prevarrà l’orientamento di chi vuole preservare l’automatismo del credito d’imposta o quello di chi vorrebbe invece un sistema che preveda una validazione dei progetti con valutazioni di merito.

In una situazione di mercato che, come abbiamo visto, continua a crescere grazie al vento in poppa soffiato nel 2022, appare quanto mai opportuno che questa partita si risolva nel più breve tempo possibile, dando alle imprese italiane una visione chiara che permetta loro di pianificare serenamente gli investimenti.

Scritto da

Franco Canna

Giornalista professionista, da vent'anni mi occupo di tecnologie con un focus specifico sull'industria manifatturiera. Nel 2016 ho fondato Innovation Post, giornale che si occupa di politiche e tecnologie per l'industria, di cui oggi sono direttore responsabile, con focus sui temi tecnologici e fiscali dell'industria 4.0. Sono membro del consiglio direttivo di ANIPLA, l'Associazione Nazionale Italiana Per l'Automazione.

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