Proroga e rimodulazione del piano Transizione 4.0: bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?

di Franco Canna

2 Novembre 2021

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Servizio: Finanza agevolata

Nella legge di bilancio per il 2021 troverà spazio la proroga di buona parte del Piano Transizione 4.0. Un rinnovo non dovuto e non atteso, perché l'attuale piano aveva ancora un anno e oltre di vita residua, e sicuramente importante perché estende la durata fino al giugno 2026 per i beni strumentali, fino al 2031 per le attività di ricerca e sviluppo e fino al 2025 per quelle di innovazione e design.


Che cosa manca

Diciamo subito che cosa non c'è: manca la proroga del credito d'imposta per i beni non 4.0, siano essi materiali o immateriali, e manca quella per la cosiddetta formazione 4.0. Ma i motivi sono profondamente diversi.


I beni strumentali non 4.0

Per quanto riguarda i beni strumentali la ragione è prettamente economica: si tratta di un incentivo che, per quanto rivisto al ribasso (per il 2022 l'aliquota è al 6%), è orizzontale ed estremamente costoso. Basti pensare che il finanziamento delle annualità 2021 e 2022 (le consegne però arriveranno comunque fino a metà 2023) è costato oltre 8 miliardi di euro, tutti a carico della fiscalità italiana perché si tratta di una misura che non rientrava nel PNRR.

Sul fronte dei beni strumentali ordinari, però, possiamo portare a casa l'impegno che il Governo ha preso di rivedere i coefficienti di ammortamento, fermi al 1988. E – mi sia consentito un giudizio di merito – qualora si arrivasse a una sostanziale riduzione della vita fiscale dei beni strumentali (anche solo di quelli a controllo numerico) il beneficio per l'impresa sarebbe ben più interessante di un credito d'imposta che, per essere compatibile con le finanze dello Stato, avrebbe dovuto ridursi a un poco attraente 3% o 4%.


La Formazione 4.0

Completamente diverso il discorso relativo al credito d'imposta per la formazione 4.0. Qui il problema non è stato tanto il costo della misura, per la quale ogni anno sono stati stanziati 150 milioni di euro che, verosimilmente, non sono mai stati spesi se non in minima parte. Il punto è che si tratta di una agevolazione le cui fortune sono state minate da un rapporto costi-benefici poco favorevole: troppi oneri burocratici a fronte di scarsi benefici fiscali.

L'edizione 2020 della misura, che è attualmente in vigore e che sarà utilizzabile per tutto l'anno prossimo, ha fatto enormi passi in avanti per migliorare l'appetibilità dell'incentivo, aggiungendo alle spese agevolate anche le spese per i formatori e gli oneri accessori.

Purtroppo dal 2023 questo strumento incassa un brusco stop. Ma resta presente – anzi pressante – l'esigenza a cui quella misura era chiamata a rispondere: promuovere cioè la formazione di quelle competenze senza le quali le tecnologie abilitanti non possono esprimere il proprio potenziale. Al momento non resta che consigliare alle imprese di sfruttare l'incentivo finché disponibile, magari associandolo ai fondi interprofessionali, e di valutare altri interessanti incentivi che, in alcuni casi, possono risultare estremamente convenienti. Basti pensare, per esempio, al Fondo nuove Competenze gestito dall'Anpal, che consente alle imprese di ridurre l'orario di lavoro dei dipendenti e avviarli alla frequenza di percorsi di sviluppo delle competenze, senza diminuirne lo stipendio e senza costi per l'azienda. Una misura estremamente utile in un periodo come questo in cui, tanto per fare un esempio, alcune aziende sono costrette a produrre a singhiozzo a causa della carenza di materie prime.

 


Iperammortamento e semplificazione

Manca anche – ma non è detto che sia una brutta notizia – il ritorno al vecchio regime della maggiorazione degli ammortamenti (i vecchi iper e super), che il viceministro dello Sviluppo economico Gilberto Pichetto Fratin aveva sponsorizzato, quantomeno come alternativa al sistema attuale dei crediti d'imposta.

D'altra parte non si è previsto, nemmeno per il futuro, un'operazione di riordino e semplificazione delle misure, a partire da quegli Allegati A e B che contengono ancora sostanzialmente le stesse merceologie previste dal piano originario, mentre gli orientamenti interpretativi e le varie FAQ hanno progressivamente allargato gli ambiti applicativi (si pensi – per fare solo un esempio – all'inclusione della Sanità operata nella circolare 1 marzo 2019 n. 48160). L'imprenditore che si approccia alla normativa dell'incentivo per valutarne la rispondenza al proprio acquisto, non ritrovando chiaramente espressa la merceologia del bene nella lista degli allegati, in mancanza di certezze potrebbe essere portato a rinunciare all'incentivo.

Da ultimo, non si è toccata, se non nelle aliquote, come vedremo a breve, la disciplina del credito d'imposta per Ricerca, Sviluppo, Innovazione e Design. Come sappiamo, nel Decreto fiscale è intervenuta una sanatoria per tutti coloro che hanno fruito dell'incentivo negli anni 2015-2018. Sanatoria che però si è mossa sugli effetti, ma non sulle cause di quelle oggettive condizioni di incertezza nelle quali si sono mosse le imprese.


Che cosa c'è


Torniamo ora a quello che c'è. Un breve schema di quello che prevede la proroga è necessario prima di passare al commento.


Credito d'imposta beni strumentali materiali 4.0


2021

50% per investimenti fino a 2,5 milioni

30% per investimenti da 2,5 a 10 milioni

10% per investimenti da 10 a 20 milioni


2022

40% per investimenti fino a 2,5 milioni

20% per investimenti da 2,5 a 10 milioni

10% per investimenti da 10 a 20 milioni


2023-2025

20% per investimenti fino a 2,5 milioni

10% per investimenti da 2,5 a 10 milioni

5% per investimenti da 10 a 20 milioni


Credito d'imposta beni strumentali immateriali 4.0


2021 - 20%

2022 - 20%

2023 - 20%

2024 - 15%

2025 - 10%


Credito d'imposta Ricerca, Sviluppo, Innovazione e Design


2022

20% per attività di ricerca e sviluppo con massimale di 4 milioni

10% per attività di innovazione o per attività di design e ideazione estetica con massimale di 2 milioni

15% per attività di innovazione con finalità orientate a un obiettivo di transizione ecologica o di innovazione digitale 4.0 con massimale di 2 milioni


2023-2025

10% per attività di ricerca e sviluppo con massimale di 5 milioni

5% per attività di innovazione o per attività di design e ideazione estetica con massimale di 2 milioni

10% per attività di innovazione con finalità orientate a un obiettivo di transizione ecologica o di innovazione digitale 4.0 con massimale di 4 milioni


2026-2031

10% per attività di ricerca e sviluppo con massimale di 5 milioni


Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?


Ora che abbiamo visto che cosa c'è, analizziamo meglio la portata dell'intervento.

Intanto, come dicevamo all'inizio, si tratta di un intervento che non era dovuto. Sarebbe stato possibile aspettare la prossima legge di bilancio per il rinnovo, come si è fatto del resto sin dal 2017. Il Governo ha invece ritenuto corretto dare un segnale di stabilità alle imprese, anticipando una proroga che si estende di fatto per 5 anni da oggi e rappresenta di fatto quasi una strutturalizzazione delle misure.

Certo – va detto – c'è un notevole taglio delle aliquote, quasi sempre dimezzate a partire dal 2023. Ricordiamo però che questi incentivi sono nati per dare un impulso alla domanda di innovazione 4.0, come "cura shock" che dunque doveva durare per breve tempo.

Sebbene la cura abbia sicuramente funzionato, il "malato" non è però ancora in grado di riprendere a camminare unicamente sulle sue gambe. Non solo: la disponibilità di questo genere di incentivi sta diventando anche un fattore di competizione tra i Paesi, come ha rilevato il dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico Marco Calabrò in occasione dell'incontro organizzato da Warrant Hub presso la Dallara a Varano de' Meregari. L'Italia è partita per prima, ma oggi la concorrenza, soprattutto da parte dei cugini d'oltralpe, nel cercare di attirare nuovi, importanti insediamenti industriali delle multinazionali è serratissima.

Chiarita quindi la necessità di una proroga, va anche ricordato che il "Babbo Natale" celato sotto le insegne del PNRR è passato e non tornerà più. Bisogna quindi rassegnarsi a fare i conti con l'oste che, nonostante l'aumento del PIL "ben oltre il 6%" (queste le esatte parole pronunciate proprio in occasione della presentazione del disegno di legge di bilancio dal Presidente del Consiglio Mario Draghi), non può fare miracoli. E così tocca incassare una rimodulazione delle aliquote che riflette, di fatto, la scelta di una "exit strategy".

Pensando per esempio ai beni strumentali materiali 4.0, se a gennaio 2022 ci sarà uno "scalino" col passaggio dal 50% al 40% per la fascia di investimenti fino a 2,5 milioni di euro, a gennaio 2023 ci sarà uno "scalone" dal 40% al 20%.

Ma è proprio qui che vale la pena ricordare ancora una volta che per quella data dovrebbe essere già entrato a regime il nuovo sistema dei coefficienti di ammortamento; e che questo 20% è garantito sin da ora per ulteriori tre anni. Se ci avessero detto a gennaio 2017 che saremmo arrivati almeno a giugno 2026 con questi incentivi non ci avremmo messo la firma?

Diverso è il discorso per il credito d'imposta per ricerca, sviluppo, innovazione e design. Intanto dobbiamo incassare un rinnovo differenziato per le misure, con una "preferenza" accordata alle attività di R&S, incentivate fino al 2031, rispetto a quelle di innovazione e design sostenute solo fino al 2025. E poi c'è il nodo delle aliquote. Mentre per i beni strumentali almeno il primo scaglione al 20% rappresenta comunque una aliquota di tutto rispetto (basti pensare che per i beni non 4.0 l'aliquota 2021 è stata del 10% e quella 2022 è del 6%), qui siamo di fronte al dimezzamento di aliquote che già qualcuno criticava perché poco attraenti. Su questo non ci sentiamo di dare un giudizio convinto. Sta di fatto che sicuramente le imprese avranno l'incentivo a… guardarsi intorno in cerca di alternative. Una di queste è il nuovo Patent Box. Criticatissima – e a ragione – per diversi aspetti, la nuova disciplina garantisce però un beneficio superiore al 25% per chi ha marchi e brevetti a cui riferire le attività di ricerca e sviluppo.

Chiuderei queste considerazioni con un'ultima nota. Quella che abbiamo visto è la prima bozza di una legge di bilancio che dovrà transitare per quasi due mesi tra commissioni e aule parlamentari. In molti si dicono convinti che aliquote e condizioni saranno riviste al rialzo. Personalmente non ne sono così convinto perché si tratta di muoversi all'interno di paletti piuttosto stretti che sono le risorse finanziarie a disposizione. Piuttosto, va sottolineato che sono invece possibili interventi migliorativi nella prossima legge di bilancio, qualora la ripresa dell'economia dovesse proseguire offrendo al Governo ulteriori risorse da gestire.


Scritto da

Franco Canna

Giornalista professionista, da vent'anni mi occupo di tecnologie con un focus specifico sull'industria manifatturiera. Nel 2016 ho fondato Innovation Post, giornale che si occupa di politiche e tecnologie per l'industria, di cui oggi sono direttore responsabile, con focus sui temi tecnologici e fiscali dell'industria 4.0. Sono membro del consiglio direttivo di ANIPLA, l'Associazione Nazionale Italiana Per l'Automazione.

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